Conflitto genitoriale e attribuzione di responsabilità

Una recente sentenza del Tribunale per i Minorenni di Trieste ha dichiarato la decadenza della potestà di entrambi i genitori sulla figlia minore, a causa dell’ec-cessivo conflitto tra i coniugi. Nella motivazione della sentenza si legge “ che tale straordinario livello di conflittualità appare rendere le parti sorde ai più elementari bisogni della figlia, ancora in tenera età, sì da far concepire, ad esempio, al padre una richiesta di collocamento ping-pong a settimane alternate (nel probabile, erroneo , convincimento di ottenerne, quale automatica conseguenza, un esonero da qualunque forma compensativa di mantenimento mediante assegno mensile in denaro;… peraltro la paritaria reciprocità nell’alimentare il conflitto, non lascia margini di preferenza, allo stato, tra uno o l’altro dei due genitori, cui riservare, in ipotesi, l’affidamento esclusivo …”.
Mi sembra che la decisione del Giudice Triestino è eccessivamente rigorosa, incongrua e spropositata rispetto alla fattispecie in esame: se i genitori litigano ed il conflitto è alto, togliere la potestà ad entrambi i genitori non può che incidere negativamente sulla serenità della bambina, che comunque (e per fortuna) continua a vivere nel medesimo contesto familiare, con l’esercizio della potestà che però viene attribuita ad un tutore.
La lettura di queste ed altre decisioni, mi inducono ad ulteriori riflessioni di carattere generale, con riferimento al concetto di “conflitto” e di come esso viene interpretato e applicato. Le argomentazioni e le motivazioni dei giudici – sia per le difficoltà con cui viene gestita la giustizia in Italia, sia per le modalità a volte un po’ sommarie con cui si affrontano e risolvono le questioni di famiglia e della mancata conoscenza del fenomeno della violenza domestica – non sono sempre in grado di dare risposte adeguate.
Ed infatti, nel concetto di conflitto si fanno oggi rientrare diverse fattispecie concrete, che spesso con il conflitto nulla hanno a che fare. Spesso, ad esempio, viene superficialmente ed erroneamente liquidato come “conflitto” e quindi “conflittuale”, il rapporto tra coniugi, in cui il marito esercita violenza all’interno del nucleo familiare.
Laddove, invece, dovrebbe essere ben chiaro che il conflitto è altro rispetto alla violenza. Altra recente sentenza ha negato la richiesta di addebito per violenza nei confronti del marito, perché quest’ultimo aveva depositato un referto medico, che attribuiva le lesioni a presunte violenze esercitate dalla moglie. Il Tribunale ne dedusse che i coniugi si erano reciprocamente picchiati, per cui la coppia era conflittuale!!
Così non è: la violenza non è conflitto!!
Ci vorrebbe maggiore sensibilità da parte dei Tribunali nel gestire e definire le cause di separazione, laddove vengono offesi e colpiti i diritti fondamentali delle persone. In questi casi è assai difficile interpretare e diagnosticare le cause della patologia familiare: è necessaria una complessa indagine cui il Giudice della famiglia non può sottrarsi.

Simona Napolitani, avvocato in Roma, e.mail: simonanapolitani@virgilio.it

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