In un precedente articolo, abbiamo parlato della convivenza e della mancanza di una normativa che regoli tale fattispecie. In particolare, abbiamo fatto riferimento alla legge n. 76 /2016 (cd. Legge Cirinnà), che ha introdotto i “contratti di convivenza”, unica garanzia in argomento, purtroppo non particolarmente utilizzata. Ed infatti, quando termina una convivenza, sia tra eterosessuali che omosessuali, il partner economicamente più debole non ha alcuna forma di tutela, a meno che non abbia preventivamente garantito il suo futuro, con la sottoscrizione di un contratto ad hoc.
Principio confermato dal Tribunale di Roma: una donna – dopo aver convissuto per 10 anni con il proprio compagno, dal quale è stata lasciata – l’ha citato in giudizio ed ha chiesto il mantenimento, l’assegnazione della casa coniugale ed il risarcimento del danno. A base di tale domanda, la donna – che aveva un figlio nato da una precedente unione – ha affermato di aver convissuto con il proprio compagno molti anni, averlo aiutato nel lancio di un’impresa a conduzione familiaire e di aver condiviso le spese di ristrutturazione di alcuni immobili di rispettiva proprietà. Il Tribunale ha innanzitutto rigettato la richiesta di assegnazione della casa familiare, sul presupposto che le convivenze non godono delle stesse garanzie del matrimonio, al quale non sono equiparate, per essere per loro natura coesioni precarie. Per l’assegnazione della casa familiare non può soccorre la presenza di un figlio che non è di entrambi i partner. Anzi, è stata accolta la domanda dell’ex compagno di rilascio della casa familiare, da parte della ricorrente e del di lei figlio, con la condanna a pagare l’indennità di occupazione, qualora detto rilascio non avvenisse nel termine indicato nel decreto. Il Tribunale afferma, inoltre, che alla cessazione del legame affettivo, tra conviventi, non resta alcun obbligo nei confronti dell’ex compagna e dei minori nati da altre relazioni.
Il Tribunale di Roma ha correttamente ragionato, in mancanza di una normativa da applicare, nell’ipotesi di famiglie di fatto, nulla è dovuto al partner economicamente più debole.
La decisione del Giudice romano è stata richiamata per rappresentare cosa avviene – per legge – nel caso un’unione tra omosessuali o tra eterosessuali venga a cessare. Il diritto di famiglia va conosciuto anche in chiave di “prevenzione”, non solo secondo modalità riparative.
Pertanto, è molto importante che – sino a quando il nostro legislatore non si pronunci (ci auguriamo presto!) – i conviventi facciano ricorso ai contratti di convivenza, per garantirsi un futuro migliore, qualora il rapporto venga a cessare.
Avv. Simona Napolitani