In sede di separazione personale, la misura dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge e del figlio, deve essere determinata in modo da consentire ai nuovi nuclei familiari che si formano in capo a ciascun coniuge di mantenere un tenore di vita equivalente a quello goduto in costanza di matrimonio. Questo principio da sempre noto, sia come elaborazione della giurisprudenza, sia come fatto di comune conoscenza, nella pratica non trova così facile applicazione. Il motivo della sua sostanziale disapplicazione lo si ritrova nel seguente ragionamento: quando due coniugi si separano, le spese originariamente affrontate dalla famiglia vengono esattamente raddoppiate in virtù del fatto che l’allontanamento di un coniuge dalla casa coniugale comporta la necessità di predisporre un’altra abitazione, per la quale occorrerà pagare utenze, condominio, e, comunque tutto ciò di cui il coniuge ha bisogno anche in considerazione dell’ospitalità che deve offrire ai figli, nei periodi in cui sono presso di sè. Quindi le spese si duplicano ma i redditi sono sempre gli stessi. Ne consegue che nessun coniuge e nessun figlio che appartengono ad una famiglia di medio o basso reddito hanno la possibilità di mantenere, in caso di separazione, il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.La madre, presso cui vengono collocati i figli il maggior numero di volte, si trova quindi a dover gestire una casa (con enormi costi, quali affitto, utenze, condominio, riscaldamento, ecc.) e dei figli con un mantenimento che certamente è di gran lunga inferiore alle spese cui deve materialmente far fronte, nell’ottimistica ipotesi, purtroppo non sempre concreta, che il marito versi effettivamente la somma dovuta. E’ una realtà assai difficile e complessa che è utile conoscere per poter trovare in tempo delle soluzioni che consentano non solo di affrontare tali evenienze, ma anche alle donne di poter trovare una loro autonomia.
Simona Napolitani, avvocato in Roma, e.mail: simonanapolitani@libero.it