Le Sezioni Unite, con la sent. n. 18287 del 2018, hanno affermato il seguente principio di diritto:
“ai sensi dell’art. 5 c. 6 della l. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la l. n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
La Suprema Corte, prima di giungere all’affermazione di tale principio, ripercorre in chiave critica i due principali orientamenti formatisi in punto quantificazione dell’assegno divorzile.
Il primo di essi, affermato con la sent. n. 11490/1990 ed incontrastato per quasi due decenni, si fonda sul principio della “parità del tenore di vita”. In base a tale parametro, l’assegno divorzile deve garantire all’ex coniuge uno stile di vita pari a quello goduto in costanza di matrimonio.
Applicando tale criterio tuttavia, seppur suscettibile di temperamenti in caso di limitatezza temporale del vincolo coniugale o di nuovo vincolo relazionale, esisterebbe il forte rischio di creare una “locupletazione ingiustificata” e “rendite da posizione” dell’ex coniuge, giungendo al paradosso di far produrre effetti nel futuro, ad un matrimonio, giuridicamente non più in vita.
La recente sentenza n. 11504 del 2017 ha messo in luce tali problematiche, anche se con il grave torto, ad avviso di chi scrive, di affermare un principio valido sempre e comunque, senza capire che il diritto di famiglia, quale diritto vivente, ha una mutevolezza, da nucleo a nucleo, da storia a storia, che non può e non deve essere inglobato in una soluzione rigida e precostituita.
Secondo la recente sentenza delle Sezioni, anche il parametro della adeguatezza dei mezzi economici affermato nella su richiamata pronuncia, è limitativo. Il principio in esame, fondato a sua volta sul principio dell’autoresponsabilità e della pari dignità di entrambi i coniugi ex art. 2 Cost., viene infatti collocato dalla Carta Costituzionale stessa all’interno delle formazioni sociali nelle quali si sviluppa la personalità dell’individuo; in nome di esso non è dunque dato procedere ad una “netta soluzione di continuità tra la fase di vita successiva e quella anteriore” al matrimonio, fondando l’assegno divorzile esclusivamente sulla insufficienza di mezzi economici.
La Suprema Corte a Sezioni Unite statuisce dunque che il parametro dell’adeguatezza ha carattere intrinseco e relativo, va parametrato agli altri indicatori contenuti nell’. 5 c. 6 della l. n. 898 del 1970, e non al di fuori della norma stessa. Tali indicatori sono costituiti dalle condizioni e dal reddito dei coniugi, dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e dalla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, valutando tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio.
L’assegno in questione non ha pertanto, ad avviso della Suprema Corte, natura squisitamente assistenziale ma anche perequativa e compensativa; laddove dunque la condizione di squilibrio patrimoniale sia causalmente ricollegabile a determinazioni comuni ed a ruoli endofamiliari svolti, quali la scelta di una delle parti di sacrificare aspettative patrimoniali e professionali per il benessere del nucleo familiare, di ciò occorre tener conto ai fini sia dell’an che del quantum debeatur dell’assegno divorzile.
In conclusione dunque, ad avviso della Suprema Corte, poiché “lo scioglimento del vincolo incide sullo status ma non cancella tutti gli effetti e le conseguenze delle modalità di realizzazione della vita familiare”, l’adeguatezza dei mezzi economici deve essere valutata “alla luce delle cause che hanno determinato la situazione di disparità”.
L’intervento delle Sezioni Unite ha restituito voce e dignità a tante donne che hanno deciso di dedicare la propria vita alla famiglia e ai compiti di cura dei figli, spesso rinunciando alla propria vita professionale, per non vedersi, poi, in caso di divorzio, riconoscere, grazie all’assegno, anni di sacrifici e di dedizione all’intero nucleo familiare.
Avv. Simona Napolitani
Avv. Vera Colella