Secondo la comune interpretazione giurisprudenziale, la separazione instaura un regime che tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio.
Questo principio ha una valenza solo teorica, perché, nei fatti, le donne che si separano non riescono a mantenere la medesima qualità di vita. Molte si stupiscono per non aver mantenuto quel famoso “tenore di vita goduto durante il matrimonio”: posso affermare che tranne casi assai rari, relativi a famiglie piu’ che benestanti, nessuna donna, a seguito della separazione, mantiene lo stesso tenore di vita.
Il calcolo è presto fatto: poniamo il caso che una famiglia abbia un’organizzazione economica che si basa sui redditi del marito e su quelli della moglie; orbene, la capicità reddituale di quella famiglia cambia a seconda che quella stessa somma mensile debba essere destinata al mantenimento di uno o due nuclei familiari.
Con la separazione, il coniuge che deve lasciare la casa familiare deve ricostruire la sua vita (una nuova casa, un nuovo arredamento, deve provvedere al pagamento di ulteriori utenze, ulteriori spese condominiali, ulteriori spese per il riscaldamento, insomma, tutto si duplica). Ovviamente, in tale prospettiva, deve organizzare il proprio contesto abitativo pensando anche alla permanenza dei figli presso di sè, che avranno necessità di essere ospitati; devono, quindi, avere i loro spazi vitali, che si traducono nell’esigenza di avere un immobile sufficientemente ampio e quindi costoso.
Insomma, a seguito della separazione i capitoli di spesa di raddoppiano, mentre i redditi rimangono gli stessi.
Una recente sentenza della Suprema Corte ha dichiarato che “la separazione instaura un regime che tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il tipo di vita di ciascuno dei coniugi; conseguentemente, se prima della separazione i coniugi hanno concordato, o quanto meno accettato, che uno di essi non lavorasse, l’efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione.” Insomma, se la moglie non lavorava durante la vita matrimoniale ha diritto di continuare a non lavorare anche dopo la separazione.
Anche in questo caso, siamo di fronte ad un’enunciazione di principio che non trova riscontro concreto sul piano di realtà. Ed infatti, a meno che non si abbiano redditi davvero alti, la moglie che non lavora durante la vita matrimoniale, difficilmente può mantenere le medesime condizioni a seguito della separazione.
Occorre pertanto capire che l’indipendenza economica delle donne è una risorsa indispensabile, un obiettivo che dobbiamo perseguire, anche a costo importanti di sacrifici. Dobbiamo uscire da una logica che ci vede coinvolte ed assorbite da compiti di cura della casa, del marito e dei figli.
Purtroppo lo Stato sociale è assente: mancano asili, mancano strutture pubbliche che ci possano in qualche modo sollevare dai complessi lavori familiari e restituire alle donne ciò che la cultura della società contemporanea non riconosce loro.
Simona Napolitani, avvocato in Roma, e.mail: simonanapolitani@libero.it