Secondo l’articolo 143 del codice civile, con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri; in particolare, dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
La violazione di uno solo di questi obblighi comporta la pronuncia di separazione con addebito al coniuge inadempiente, se nel relativo procedimento viene fornita adeguata prova su tale violazione.
Dalla sentenza che accerta il comportamento inadempiente derivano gravi effetti: il marito o la moglie, a cui carico viene statuito l’addebito, perde il diritto al mantenimento; ed ancora, il coniuge, a cui carico viene statuito l’addebito, perde subito la qualità di erede, per cui in costanza di separazione nulla erediterebbe, a seguito dell’eventuale decesso dell’altro coniuge.
In giurisprudenza esiste, però, una certa tendenza a svuotare il contenuto dell’addebito (ci sono anche disegni di legge che prevedono l’abolizione dell’istituto), nel senso che i Tribunali danno un’interpretazione sempre più restrittiva, riducendo così la previsione legislativa.
Ritengo che l’istituto nel suo rigore serva a mantenere una linea di condotta all’interno della vita matrimoniale e costituisca un richiamo morale ad un comportamento più corretto; eliminare ogni ipotesi di controllo e di verifica da parte del Tribunale porterebbe ad un probabile ulteriore scadimento della morale e del costume della nostra società (continua…).
Simona Napolitani, avvocato in Roma, e.mail: simonanapolitani@libero.it