Si dà il caso che chi decide di porre fine ad un matrimonio non voglia piu’ riaprire una dolorosa ferita. La legislazione e la giurisprudenza italiana non forniscono tale possibilità.
Pochi giorni fa, la Cassazione ha affermato che “ l’assegno divorzile non richiesto in sede di divorzio, può essere richiesto successivamente, con il procedimento ex art. 9 L.Divorzio; il giudice in un procedimento di revisione dovrà esaminare i presupposti per il riconoscimento dell’assegno e non tenere conto delle mutate circostanze.”.
Tale decisione, che, già ad un primo esame, rende perplessi, stupisce ancor più nella sua parte motiva, secondo la quale la moglie che aveva rinunciato all’assegno nell’ambito di un divorzio congiunto, può ripensarci e proporre un procedimento successivo per chiedere (ed ottenere) ciò a cui aveva rinunciato!
E’ bene chiarire che, sulla base del nostro sistema normativo, si può chiedere la revisione di quanto previsto in sede di divorzio, solo se sussistono “giustificati motivi”, ma, con la citata sentenza, la Suprema Corte non ha tenuto presente che occorre la necessità di una modifica delle condizioni di fatto per una revisione della sentenza che pone fine al matrimonio. Ed infatti, sulla base dei suindicati principi, il Tribunale di Taranto e la Corte di Appello di Lecce hanno rigettato la richiesta della moglie di vedersi riconosciuto un assegno divorzile, perché non richiesto in sede di divorzio congiunto e in mancanza di modifiche successive. La Cassazione è di diverso avviso, pertanto accoglie il ricorso della donna e rinvia nuovamente il processo alla Corte di Appello di Lecce, che dovrà verificare se sussistono i presupposti per il riconoscimento dell’assegno a suo tempo rinunciato.
Insomma, la storia processuale tra i due ex coniugi si configura ancora lunga.
Inoltre, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale “ai fini della determinazione dell’assegno divorzile, l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente ( e l’impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive) va valutata con riguardo alla conservazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.”.
Insomma, sulla base delle decisioni dei Giudici di legittimità, non solo questi matrimoni non finiscono mai, ma le ripercussioni economiche, se il tenore di vita dei coniugi era buono, potrebbero essere di una certa importanza.
In genere, il coniuge richiedente l’assegno di divorzio è la donna, ancora partner più debole economicamente, che, purtroppo, trova grandi difficoltà a rendersi autonoma, perchè la configurazione della famiglia italiana la vede ancora relegata allo svolgimento di compiti di cura della casa e dei figli, con uno squilibrio tra la moglie e il marito rispetto all’inserimento del mondo del lavoro.
In aggiunta, in Italia lo Stato sociale è sicuramente lontano da tali problemi e non assicura alle madri adeguato sostegno e pari opportunità.
Insomma, ci vorrebbe una politica più attenta ai diritti civili, ai diritti della persona, questa è una sfida che la politica dovrebbe affrontare e vincere, piuttosto che lasciare una porta sempre aperta su matrimoni ormai finiti da anni.
Avv. Simona Napolitani
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